Di Caterina Mortillaro
Si è aperta il primo maggio, al MUDEC, Museo delle Culture di Milano, la mostra ROY LICHTENSTEIN. MULTIPLE VISIONS, che andrà avanti fino all’8 settembre. Un evento di grande spessore, con circa 100 opere tra prints anche di grande formato, sculture, arazzi, un’ampia selezione di editions provenienti da prestigiosi musei, istituzioni e collezioni private europee e americane (la Roy Lichtenstein Foundation, la National Gallery of Art di Washington, il Walker Art Center di Minneapolis, la Fondation Carmignac e Ryobi Foundation, Gemini G.E.L. Collection), oltre a video e fotografie.
Roy Lichtenstein: una mostra dalla forte vocazione antropologica
Con questa iniziativa, il MUDEC conferma non solo il proprio interesse per i diversi linguaggi artistici ma anche la sua profonda vocazione antropologica. Liechtenstein, infatti, con la sua opera fa un lavoro di decostruzione e ricostruzione del concetto stesso di arte che ha molto in comune con l’antropologia postmoderna. Ogni gerarchia viene delegittimata, ogni categoria usuale viene smantellata per poi espanderla. Il sublime e il volgare (inteso nel suo senso etimologico) vengono trattati come simboli di eguale valore.
Contaminazioni nell’opera di Liechtenstein
Si operano contaminazioni, che vanno nel senso della celebre affermazione di William Carlos Williams, citato dall’antropologo James Clifford: “i frutti puri impazziscono”. “Se le tradizioni autentiche, i frutti puri, si stanno ovunque arrendendo alla promiscuità e all’insignificanza, la scelta della nostalgia non possiede fascino.” Ma al tempo stesso lo sguardo dell’antropologo postmoderno: “…non vede il mondo come popolato da autenticità in pericolo, frutti puri che impazziscono sempre. Piuttosto dà spazio a specifici sentieri della modernità.”
Ecco allora che nell’opera di Liechtenstein possono confluire in modo fecondo culture diverse che vanno dalla storia della nascita degli Stati Uniti all’epopea del Far West, dai vernacoli e le espressioni artistiche etnografiche degli indiani d’America alla cultura pop esplosa in seguito all’espansione dell’economia mondiale del secondo dopoguerra, dalla cultura artistica europea delle avanguardie allo spirito contemplativo dei paesaggi orientali.
L’arte scende dai piedistalli
Così facendo l’artista si oppone alla dicotomia tra arte intesa come originale, singolare e tradizionale, in fin dei conti inutile, e non-arte, intesa come tutto ciò che è nuovo, insolito, riproducibile, commerciale, utile. Viene annullata la divisione tra alta cultura e bassa cultura, tra Arte con la A maiuscola ed espressioni popolari. Anche gli oggetti di uso quotidiano diventano segni, riprodotti con intenzionale superficialità e con grossolana semplificazione. Fumetto, avanguardie, paesaggi dell’arte orientale, astrattismo, tutto viene rivisitato in modo assolutamente personale, ironico irriverente. L’artista sembra “giocare” coi mostri sacri, che vengono deposti dai loro piedistalli.
Roy Lichtenstein: l’arte come critica sociale?
Ma si tratta davvero solo di un gioco? L’antropologia insegna che non c’è arte disgiunta dal contesto sociale, politico, culturale, economico che la produce. I curatori, infatti, oltre agli aspetti più intrinsecamente artistici, ci mostrano ciò che si cela dietro l’apparenza “facile” delle opere di Lichtenstein. E lo fanno proprio all’inizio del percorso, prima dell’ingresso nella prima sala. Qui, infatti, un video, proiettato a ciclo continuo all’ingresso, ci fa entrare nel contesto in cui nasce l’opera di Liechtenstein. Si tratta di un mondo in cui, all’indomani della devastazione della guerra mondiale, si combatte una nuova “guerra”: quella per accaparrarsi il consumatore. Frotte di donne stereotipate, vengono rese bidimensionali dalle pubblicità, assurgendo al ruolo di personaggi non più reali delle loro controparti a fumetti. I prodotti in serie, simbolo di un benessere e di un progresso alla portata di tutti, celano dietro le loro etichette tutte uguali un vuoto che, non a caso, Antonioni ha fatto esplodere nel suo “Zabrinskie Point”.
Una mostra quindi, che non si propone solo come esperienza estetica (come potrebbe?), ma invita a riflettere sulla nostra società, sul culto consumistico degli oggetti, sull’appiattimento e la disgregazione dell’io.
Per informazioni e prenotazioni: http://www.mudec.it/ita/lichtenstein-mostra-mudec-milano/
Sito web del MUDEC: http://www.mudec.it/ita/