Di Caterina Mortillaro
Sono Trascorsi esattamente due anni da quando, il 7 maggio 2017, il professor Ugo Fabietti, che ho avuto l’onore di avere come relatore di tesi e di dottorato, si spegneva dopo una malattia che aveva provato il suo corpo ma non il suo spirito. Era domenica. Ho ricevuto la notizia a metà mattinata. Sapevo già da qualche giorno che le sue condizioni erano critiche, ma sono comunque rimasta sconvolta. Non potevo crederci. Fino a poche settimane prima, infatti, il professor Fabietti aveva presenziato alle lezioni di Antropologia Storica e, l’ultima volta che ci eravamo visti, aveva declinato la mia offerta di aiuto per il corso successivo dicendo che non ce n’era bisogno. Stanco ma lucidissimo, era riuscito ancora una volta a donare a quegli ultimi studenti il suo vastissimo sapere antropologico con la solita chiarezza e precisione.
Fabietti: uno dei più importanti antropologi italiani
Chi era Ugo Fabietti?
Dal punto di vista accademico, è stato uno degli antropologi più importanti della scena italiana. Per certi versi si può affermare che abbia portato l’antropologia in Italia. Sono suoi i testi teorici e i manuali sui quali hanno studiato e continuano a studiare la maggior parte degli studenti in tutta Italia.
Quando ancora il sapere antropologico non aveva un proprio spazio nell’accademia italiana, il giovane Ugo Fabietti ha scelto di seguire gli studi filosofici all’Università Statale di Milano, sotto la guida di Francesco Remotti, altro grandissimo nome dell’antropologia . Poi ha proseguito gli studi all’Università di Pavia. Infine, ha scelto di frequentare la prestigiosa EHEES (École des hautes études en sciences sociales) di Parigi, il cui nome è legato a quello di luminari del calibro di Claude Lévi-Strauss, fondatore del Laboratoire d’anthropologie sociale (LAS), Michel Foucault, Pierre Bourdieu, Jacques Derrida.
A volte, durante le nostre conversazioni nel suo studio, il professore ricordava quei tempi con una certa nostalgia. Ascoltavo quei frammenti preziosi di vita con una certa riverenza, immaginando che cosa significasse essere un antropologo nella Parigi di quegli anni.
Nel 1978, Fabietti ha conseguito sia il Diploma in Antropologia sociale (Studi africani) all’EHESS che il Diploma di specializzazione in Filosofia presso l’Università di Pavia.
Da quel momento è cominciata l’ascesa che lo ha portato da ricercatore all’Università di Torino, a professore associato a Pavia, fino a professore ordinario a Firenze. È iniziata quindi la sua avventura presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, dove l’ho conosciuto.
Ugo Fabietti: un docente eccezionale
Ho avuto il professor Fabietti inizialmente come docente di modelli teorici nell’antropologia. Subito mi ha colpito la sua capacità di spiegare in termini al tempo stesso rigorosi e chiarissimi anche i concetti più complessi. Le sue lezioni erano avvincenti. Ricordo in particolare quando abbiamo affrontato la lettura di passi del “Pensiero selvaggio” di Claude Lévi-Strauss. Grazie al suo modo di esporre l’argomento, anche i punti più ostici diventavano per magia semplici. Insomma, chiunque lo avesse sentito parlare avrebbe capito fin dalle prime parole che si trattava di un docente fuori dall’ordinario con una conoscenza approfonditissima e una grande capacità di insegnare, due aspetti che non sempre si accompagnano soprattutto ai più alti livelli dell’istruzione. Ho poi avuto modo di seguire le sue lezioni di Antropologia del Medio Oriente. Ugo Fabietti, infatti, era un esperto del Vicino Oriente dove aveva condotto le sue ricerche nella Penisola arabica, in Iran e in Baluchistan. Ma non solo. Era anche un esperto di religioni, come dimostra il suo ultimo libro, “Materia sacra”. Infine, negli ultimi anni, aveva ripreso a occuparsi di antropologia storica, con particolare riferimento all’America Latina.
L’uomo Fabietti
Avere l’opportunità di fare la tesi di magistrale con lui è stato per me un grande onore. Un sentimento condiviso da tutti i suoi tesisti, tra cui anche Lucilla Continenza, fondatrice con me de Ilbugiardino. Avvalermi della sua guida per la stesura della tesi di dottorato è stata una fortuna insperata. Oltre ad attingere alla sua vastissima conoscenza, ciò mi ha consentito di interagire con un uomo eccezionale. Fabietti, infatti, era quanto di più lontano si possa immaginare da un barone arrogante. Era votato alla conoscenza. E in quanto tale, nonostante il suo immenso sapere, era umile e trattava i suoi studenti con grande rispetto e cortesia. Non si è mai avvalso del suo potere per ottenere benefici e favori. Onestissimo, mi chiese il permesso di citare in nota in un suo scritto la mia tesi di laurea. Non disdegnava di chiedere ai dottorandi un parere sulla stesura dei suoi lavori. Gran signore, dall’educazione squisita, non gli ho mai sentito alzare la voce. Piuttosto, ricordo con nostalgia i suoi sorrisi.
Il ricordo dei colleghi e degli studenti
La sua dipartita due anni fa ha lasciato un grande vuoto che difficilmente potrà essere colmato. E non solo per i molti incarichi che ricopriva o per i contributi che avrebbe potuto dare ancora all’antropologia.
Dal 24 al 26 ottobre 2018 l’Università di Milano Bicocca ha voluto ricordarlo con un convegno dal titolo “Ugo Fabietti. Il lavoro dell’antropologo”. Vi hanno partecipato i nomi più importanti del mondo accademico italiano e non solo, tra cui non potevano mancare Francesco Remotti, Alice Bellagamba e Roberto Malighetti.
Ma sono certa che i suoi studenti e chiunque lo abbia incrociato non abbia bisogno di eventi ufficiali per portarlo con sé. Grazie professore!