Di Caterina Mortillaro
Il 18 maggio, presso Cinema Spazio Oberdan a Milano, Fondazione Cineteca Italiana, è stato proiettato il film “Il mangiatore di pietre” di Nicola Bellucci con Luigi Lo Cascio. Si tratta di una delle numerose pellicole proposte dal 13 al 19 maggio per la decima edizione milanese del Trento Film Festival, uno dei più antichi festival italiani e uno dei più importanti appuntamenti al mondo di cinema che affronta tematiche di alpinismo, cultura montana e ambiente.
Alla proiezione hanno partecipato Lo Cascio, Bellucci e il produttore Enzo Porcelli, che hanno parlato della genesi del film, delle scelte fatte sia per quanto concerne la sceneggiatura sia durante le riprese.
“Il mangiatore di pietre”, un noir diverso dal solito
Si tratta di una produzione italo-svizzera, tratta dal libro omonimo di Davide Longo, torinese, romanziere e insegnante alla Scuola Holden, su una sceneggiatura cui ha collaborato in parte lo stesso Longo.
Cesare, vedovo di una moglie bella e amata, ex contrabbandiere e spallone di clandestini, trova il corpo del figlioccio Fausto, assassinato. I due uomini avevano perso i contatti, ma Cesare non riesce a rimanere estraneo alla questione, anche a causa del suo passato di passeur e detenuto. Presto il solitario montanaro acquista la fiducia dell’investigatore, il commissario Sonja di Meo, e comincia a far luce sull’omicidio.
Un thriller, dunque, ma diverso da quelli cui siamo abituati. Fin dalle prime immagini appare chiarissimo che si tratta di una storia dura come le pietre della Val Varaita e altrettanto fredda. I colori sono lividi, i paesaggi innevati sono spesso gravati da una nebbia che annulla i colori, facendoci scivolare in un mondo in bianco e nero. Personaggi, volutamente poco comunicativi, scolpiti nella stessa pietra, si esprimono poco, a volte in un dialetto gutturale. Si riceve un’impressione di povertà materiale morale. Nessuno è senza peccato, neppure il giovane Sergio, che, tuttavia, porterà il protagonista, Cesare, a compiere una scelta profondamente etica.
La scelta del set, la bravura di Lo Cascio e degli altri attori, la vicenda cruda, non a caso definita noir, lo rende un film di sicuro impatto emotivo, che si stacca dalla produzione cinematografica italiana, solitamente più leggera. Alcune scene, poi, sono un pugno nello stomaco, non tanto per ciò che mostrano, ma per ciò che lasciano intuire.
In effetti, e questa potrebbe essere forse l’unica pecca, in alcuni momenti il plot si sfalda e i rapporti tra i personaggi non vengono esplicitati, lasciando lo spettatore sospeso alla ricerca di un senso. Si tratta, tuttavia, di una scelta consapevole del regista. Bellucci, d’altra parte, finora ha diretto documentari ed è alla sua opera prima come regista di finzione. Non è quindi strano che a volte “Il mangiatore di pietre” assuma una sfumatura documentaristica, senza i filtri narrativi cui siamo solitamente abituati. Esemplare la scelta di inserire brevi dialoghi in dialetto e persino in occitano.
Riduzione cinematografica e linguaggio filmico
A questo proposito, è stato molto interessante, oltre agli aneddoti sulle condizioni difficili in cui si sono svolte le riprese, il dibattito sulla riduzione cinematografica. Una prima sceneggiatura tedesca è stata fortemente rimaneggiata, eliminando alcune scene e aggiungendone altre. A detta di Lo Cascio, la decisione è stata presa per una fondamentale differenza tra la parola scritta e quindi più esplicita, narrata, e il linguaggio filmico. Ciò, a detta di alcuni spettatori che avevano letto il romanzo, ha messo in ombra alcuni passaggi, ma ha fatto risaltare con maggiore forza altri aspetti, quali, ad esempio, la già citata durezza dell’ambientazione e dei personaggi.
Non resta dunque che vederlo e leggere il romanzo, per cogliere queste differenze e farsi un’opinione completa.
Per informazioni sulle rassegne https://cinetecamilano.it/