Di Lucilla Continenza
Matilde e il tram per San Vittore torna al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano, fino al 9 giugno. Lo spettacolo narra degli scioperi operai del milanese, che hanno molto contribuito alla liberazione dal fascismo. La rappresentazione è costruita attraverso un punto di vista femminile, ovvero delle mogli, delle figlie, delle sorelle dei deportati operai nei lager nazisti. La pièce è tratta dal libro di Giuseppe Valota “Dalla fabbrica ai lager” che approfondisce anche la vera storia di suo padre, Guido, partigiano operaio e mai più tornato dal campo di concentramento nazista in cui era imprigionato. Valota è presidente dell’ANED di Sesto San Giovanni e da sempre si occupa di diffondere la storia dei partigiani milanesi. Sul palco recitano: Arianna Scommegna, Debora Villa, Rossana Mola, Giulia Medea e la giovanissima Elisa Rusu nel ruolo della piccola Matilde.
Il Piccolo è molto legato a questa vicenda. In quel periodo, alla disperata ricerca dei loro uomini, le donne milanesi si precipitavano nel carcere di San Vittore e in altri luoghi di “prima accoglienza” degli operai arrestati. Fra questi c’era anche il cinema Broletto, ai tempi sede della legione fascista Ettore Muti, dove durante le proiezioni dei film di regime, venivano, nel retro, torturati gli oppositori. Nel 1947 il Broletto diventa il Piccolo Teatro, che Giorgio Strehler e Paolo Grassi, attraverso il Teatro, ripuliranno a fondo dall’orrore della dittatura.
Matilde e il tram per San Vittore, recensione
Tornare indietro nel tempo grazie allo strumento del teatro è un’esperienza emozionante, soprattutto quando sul palco vengono narrate storie vere. Lo spettacolo è poi recitato quasi interamente in lingua milanese, che rende ancora più realistica la performance. La scena è essenziale, grigia, con grossi tavolini delle vecchie mense delle grandi fabbriche paternaliste milanesi: la Breda, la Falck, la Pirelli, la Magneti Marelli, l’Ercole Marelli, l’Ansaldo ecc. Erano enormi aziende, un tempo pilastri dell’economia italiana, dove sono “scoppiati” i primi scioperi operai contro il Duce che aveva ridotto il Paese alla fame.
Sul palco recitano tre donne, interpretate da bravissime attrici, che alternano evocazioni di storie, di riflessioni e di emozioni. Queste donne sono nel milanese le protagoniste di quel periodo. Si parla di persone comuni, di gente come tanta. Si sottolinea nello spettacolo che non si tratta di mogli, figlie, sorelle di uomini eccezionali perché si erano ribellati ad una condizione di fatto insostenibile. I loro uomini erano persone semplici che hanno agito, nell’unico modo possibile, ad una situazione da ritenersi eccezionale. Il fascismo e le dittature in generale devono essere infatti considerati come eventi straordinari e non come normalità.
Parliamo di donne forti, coraggiose, forse anche eroine, ma è un termine che a me non piace. Sicuramente si narra di persone pragmatiche e forgiate da quella cultura contadina che aveva portato molti ad emigrare nel milanese e a trovare lavoro come operai nelle grandi fabbriche.
Conclusioni
Sopravvivere, sperare, ricevere profonde coltellate ma senza morire, reagire. Queste donne avevano imparato l’arte della resilienza e senza frequentare corsi di psicologia, ma semplicemente attingendo dal quotidiano, dalla vita, che sa essere dannatamente crudele, che quando non si è allenati può piegare e poi spezzare.
Nota di merito va alla giovanissima Elisa Rusu (Matilde) a cui Sarti fa recitare la scena finale. Un monologo in cui la ragazzina racconta la sua esperienza di unica figlia di un operaio deportato e di una donna reclusa a San Vittore. Matilde sembra rassegnarsi con coraggio a una vita di solitudine a soli 11 anni, perché questo è il suo ineluttabile destino. Ma poi la guerra finisce proprio un mese dopo l’ultimo grande sciopero milanese, e la storia cambia direzione trasformando la tragedia finalmente in speranza.
Per informazioni e prenotazioni: 0242411889 www.piccoloteatro.org
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