Di Lelio Naccari
Kryptonite e Superman. L’uomo è per sua natura creatore e fruitore di storie. Alcune di queste impregnano la nostra infanzia, e non solo, con la loro forza archetipica, attraverso la cultura pop, anche in un’epoca che sembra aver smarrito il contatto tradizionale con la dimensione del sacro e del mito.
In Kryptonite, di cui Orazio Condorelli è autore e regista e Peppe Macauda interprete, andato in scena a Messina, il 15 luglio, all’interno della rassegna Il Cortile Teatro Festival, si sceglie di sottolineare l’aspetto fragile della condizione umana fatta di paura e insicurezze. Nello spettacolo si fa particolare riferimento alla fase dell’adolescenza, con disagi e “nemici” che vengono accomunati appunto alla Kryptonite, minerale dannoso per Superman, anche se in realtà, paradossalmente, costitutivo del suo pianeta d’origine.
Superman è il più longevo e resistente fra gli archetipi supereroistici e non sorprende, essendo le sue radici sotterrate ben più in fondo dei suoi esordi sulle strisce di Action Comics dell’Aprile 1938.
Il termine “archetipo” reso celebre dal grande psicanalista e studioso svizzero Carl Gustav Jung, indica delle immagini primordiali, degli schemi preesistenti dell’Inconscio Collettivo, comuni all’intera umanità, presenti in ogni cultura in forme diverse. Superman viene da un altrove, un luogo fuori dal pianeta terra, più avanzato e “superiore”.
Non ha nulla di diverso dai suoi simili su Krypton, ma la sua particolare costituzione lo porta ad avere, sul nostro pianeta, capacità sovrumane, che gli permettono di realizzare l’impossibile, e decide di utilizzare questa possibilità al servizio del pianeta su cui si trova.
È in mezzo a noi, anche solo, orfano dei suoi genitori celesti, con cui può comunque mettersi in contatto, seppur non nella loro forma materica. È costretto a non rivelare la sua vera identità, anche se in realtà pare siano gli umani, copiosamente “rincoglioniti”, a non accorgersi di chi sia veramente, quando smette gli abiti sgargianti e indossa un semplice paio di occhiali, pettinandosi come un cretino.
In Kryptonite, di Condorelli l’universalità dell’archetipo di Superman si mixa con buon effetto alla specificità dei nomi di luoghi e personaggi di una cittadina siciliana, con il gergo che ne consegue e il sorriso del pubblico.
“(…) L’uomo ragno è di fatto Peter Parker. Quando quel personaggio si sveglia al mattino è Peter Parker. Deve mettersi il costume per diventare l’uomo ragno“. Superman invece non diventa Superman. Superman è nato Superman. Quando Superman si sveglia al mattino è Superman. Il suo alter ego è Clark Kent. Quella tuta con la grande S rossa è la coperta che lo avvolgeva da bambino quando i Kent lo trovarono. Sono quelli i suoi vestiti. Quello che indossa come Kent, gli occhiali, l’abito da lavoro, quello è il suo costume. È il costume che Superman indossa per mimetizzarsi tra noi. Clark Kent è il modo in cui Superman ci vede. E quali sono le caratteristiche di Clark Kent? E’ debole, non crede in se stesso ed è un vigliacco”. Monologo di Bill, da Kill Bill Vol. 2
I supereroi, quando funzionano, lo fanno perché sono già metafore, si appigliano a una serie d’idee archetipali che possediamo, e i loro poteri e limiti sono anch’essi metafore “magiche” di possibilità da esplorare e paure da vincere, o meglio di cui prendere coscienza.
Il messaggio dello spettacolo non viene lasciato a intendere ma esplicitato in maniera diretta: i supereroi non sono sulla carta stampata, ma fra noi ogni giorno, e lottano nella quotidianità. Vedrei bene quest’opera come inizio di una trilogia in cui il protagonista assume via via più consapevolezza. L’età adulta può interessarci come sviluppo e cambio di prospettiva rispetto a quella adolescenziale.
Come affermava Jung in Simboli della Trasformazione: “L’eroe è un eroe proprio perché in tutte le difficoltà della vita vede la resistenza contro la mèta proibita, e combatte questa resistenza con tutto l’anelito che lo porta verso il tesoro difficile da raggiungere o irraggiungibile; anelito questo che paralizza o uccide l’uomo comune”.
L’eroe vero in fondo, da tradizione è quello che trascende i problemi personali e si mette al servizio di una comunità.
Scrive Laura Manicelli come prefazione al Parzival di Von Eschemback, Einaudi: “L’iter dell’eroe è fondamentalmente sempre lo stesso: parte da una posizione di assoluta negatività, o per mancanza di mezzi o per propria ignavia; talvolta è un vero bandito. Di avventura in avventura, superando prove e difficoltà, affina la sua sensibilità fino a divenire un cavaliere, che poi la grazia divina trasforma nel Miles Christi, il guerriero senza macchia e senza paura, che pone la sua spada al servizio della fede, dei deboli e delle donne, in un’assoluta consonanza di perfezione cortese e ideale cristiano. A un tale cavaliere, protetto da Dio, non può che arridere il successo” .
Più che la qualità dello spettacolo in sé o della singola replica, bisogna a mio avviso guardare a come l’attività artistica di Orazio Condorelli s’integri in un contesto sociale non sempre facile e forse non “culturalmente predisposto”, con la sua proposta di un teatro popolare, nel senso che vuole svecchiare certi stilemi e rendersi accessibile sia nella realizzazione che nella fruizione anche a chi non è strettamente legato a questo tipo di mezzo.
Del resto credo il teatro abbia senso, come tutto, quando muove cose nella realtà, persone, incontri, idee… e non parla solo di se stesso a se stesso, permeando invece per quanto possibile anche situazioni e luoghi fisici poco battuti.
Per informazioni sui prossimi spettacoli:
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