Di Paolo S. Cavazza
Quando si ricostruisce, partendo dalla propria memoria, il ricordo di un evento storico largamente condiviso, c’è sempre il rischio di creare il ricordo di un ricordo e di alterarlo progressivamente a ogni nuova rievocazione.
Per quanto mi riguarda, la mia memoria sull’Apollo 11 tende a sdoppiarsi: a ciò che ho vissuto direttamente, in quella lunga serata e nel mattino successivo, si somma ciò che ho appreso in seguito, grazie a una frequentazione dei programmi spaziali che dura da ben oltre mezzo secolo.
Le dieci missioni Apollo che pochi ricordano
Spesso si dimentica che prima e dopo l’Apollo 11 ci sono state altre dieci missioni, e di alcune anch’io ho memorie sbadite o assenti. L’Apollo 8 intorno alla Luna fu un momento memorabile, alla vigilia di Natale 1968, con le prime immagini televisive della Terra che sorgeva dal cupo orizzonte lunare (poi sarebbero arrivate le stupende fotografie che tutti conosciamo).
L’Apollo 13 è indelebilmente scolpita nella mia memoria: quattro giorni di angoscia, con una sensazione di irrealtà alimentata dalle cronache affannose de La Stampa e dei telegiornali. Ero al liceo e non so come riuscissi a concentrarmi sulle lezioni.
Poi ricordo bene le ultime tre splendide missioni Apollo, 15, 16 e 17, con le loro lunghissime dirette dalla superficie lunare. Mezzi di ripresa e canali di comunicazione erano enormemente migliorati, le immagini giungevano dalla telecamera telecontrollata della Lunar Rover, e ciò che vedevo sul video era davvero una prefigurazione del futuro che poteva essere se i fondi alla NASA non fossero stati tagliati e se gli Stati Uniti non avessero dovuto affrontare altre priorità.
Ma torniamo all’Apollo 11 e al cinquantesimo anniversario che stiamo festeggiando in questi giorni.
La notte dell’allunaggio nel ricordo di un quattordicenne
La mia personale rievocazione dell’Apollo 11 è forse un po’ diversa da quella di altri ragazzi dell’epoca. Avevo 14 anni. La mia famiglia abitava a Torino, avevo finito la terza media, sapevo che avrei fatto la prima liceo nella mia città; ma sapevo che l’anno successivo ci saremmo trasferiti a Napoli o a Salerno.
Dall’inizio del 1969 acquistavo regolarmente Interconair Aviazione Marina, importante (e talvolta controversa) rivista aeronautica dell’epoca. Così, quando il LEM dell’Apollo 11 posò le zampe sulla superficie lunare, ne sapevo probabilmente di più della maggior parte degli spettatori.
Di quella notte e quei due giorni rimpiango solo una cosa: poiché non si sapeva quando i due astronauti sarebbero scesi sul suolo lunare, a un certo punto decisi di andare a dormire. Così persi la diretta. Risvegliato intorno alle 7 del mattino, vidi la “passeggiata” (ma già sapevo che dovevo chiamarla EVA) nella replica che fu mandata in onda immediatamente dopo la chiusura del portello del modulo lunare: con tutta la sua fascinazione, ma forse con un poco di emozione in meno.
Alcuni momenti di quella maratona televisiva rimangono vividi, in particolare il battibecco fra Tito Stagno e Ruggero Orlando, dovuto alle comunicazioni piuttosto distorte ricevute dal LEM. Stagno annunciò correttamente “ha toccato!” quando Aldrin annunciò “contact light”; poi, ironicamente, nella discussione fra i due si perse l’annuncio di Armstrong: “The Eagle has landed”. Ma questa sarebbe stata una conoscenza acquisita in seguito.
Sul momento c’era soltanto l’incomprensibile magia di uomini – Stagno e Orlando – che riuscivano a interpretare quel gergo tecnico in una lingua per me ancora incomprensibile.
Aspettative e delusioni per un futuro di progresso
Oggi molti cercano di rievocare lo spirito del tempo. Leggendo gli articoli dell’epoca, perfino quelli disincantati di Nico Sgarlato su Interconair, si ha la percezione di quanto l’aspettativa di un progresso positivo e fruttuoso per tutti fosse radicata. Ma i tempi cambiarono rapidamente.
Gli Stati Uniti avevano già dedicato troppe risorse a un programma che inizialmente era dettato da scopi di prestigio politico, e che aveva prodotto mezzi eccezionali ma troppo limitati e soprattutto troppo costosi. Non tutti i missili e i veicoli spaziali furono utilizzati. L’Apollo, in particolare, era troppo complessa per essere usata come semplice traghetto orbitale: paradossalmente la sua coetanea sovietica, la Soyuz, molto più semplice, è tuttora usata dopo mezzo secolo, in versioni via via aggiornate.
Il modulo lunare, esile e bizzarro capolavoro prodotto dalla Grumman, costruttrice di aerei noti per la proverbiale robustezza, aveva fatto molto più di quanto gli fosse richiesto, salvando la vita dei tre astronauti dell’Apollo 13; ma proprio quella missione ridiede voce a chi riteneva troppo rischioso quel programma spaziale. Risparmiando peso fino all’osso il LEM fu messo in grado di portare sul suolo lunare la Lunar Rover, ma a quel punto i limiti del sistema Saturn-Apollo era stati raggiunti: dieci-dodici giorni di autonomia, fra cui tre giorni sul suolo lunare per due persone. Non sarebbe mai stato possibile costruire un insediamento lunare semipermanente con mezzi così limitati.
Le ultime Apollo furono usate come traghetti per lo Skylab, la prima stazione spaziale americana, portata in orbita dal tredicesimo Saturn V, e poi per la missione congiunta russo-americana del 1975, che avrebbe dato buoni frutti oltre due decenni dopo. Il ritorno sulla Luna perse priorità: c’erano 380 kg di campioni da studiare provenienti da sei siti diversi, e gigantesche quantità di dati grezzi da organizzare e analizzare. Le missioni con equipaggio umane e quelle automatiche sovietiche (fra le quali vanno ricordati i successi dei primi veicoli teleguidati sulla Luna) hanno in gran parte chiarito il vecchio mistero dell’origine della Luna.
Un futuro sulla Luna?
Oggi si stanno ponendo le basi per il ritorno, con nuovi mezzi più evoluti e finalità che potrebbero non essere più solo scientifiche.
Vorrei chiudere con una citazione (a memoria) da Carl Sagan, il celebre astrofisico scomparso alcuni anni fa. Sagan, come gran parte della comunità scientifica, era contrario all’invio di uomini sulla Luna. Ma anche allora era chiaro che un geologo può fare in un giorno quello che un veicolo telecontrollato fa in un mese, e non altrettanto bene. In un libro pubblicato qualche anno dopo Sagan ammise che si era parzialmente ricreduto, e scrisse:
“Ci furono due errori fondamentali nel progetto Apollo. Il primo fu iniziarlo; il secondo, interromperlo.”