Di Lelio Naccari
Il Cortile di Palazzo Calapaj–d’Alcontres, a Messina, gremito, ha accolto lo spettacolo Legittima Difesa, testo di Laura Giacobbe, regia di Roberto Bonaventura, con Francesco Natoli, Giuseppe Capodicasa e Michelangelo Maria Zanghì.
Legittima Difesa: recensione
Dispari. Di spari. Di sparire.
Le parole di Legittima Difesa di Giacobbonaventura vanno forte e colpiscono come proiettili, in un turbinio di emozioni fra cui domina il riso. È una parola surreale, netta, ben levigata. Portata con efficacia, presenza e rivoli di sudore da Natoli, Capodicasa e Zanghì. Il primo, terrorizzato e frustrato inquilino di un appartamento in cui si è barricato per 6 giorni, come in attesa – nel gioco del paradosso teatrale – che qualcuno venga a disturbarlo e su cui poter riversare la sua rabbia repressa. Gli altri due fantomatici (ho sempre sognato di scrivere fantomatico) ladri, improvvisati attori per necessità di sopravvivenza.
All’inizio, un attore nel buio, spalle al pubblico, con una maschera di commedia dell’arte (Pantalone) in mano. Le luci si alzano, la maschera viene indossata e dall’abisso prendono vita le forme/figure sapientemente grottesche di questa storia, che si gioca in maniera tragicomica fra la vita e la morte, sulla linea sottile tra l’esserci e lo sparire. L’assurdo del teatro serve l’assurdo della vita.
Sembra quasi un gioco di marionette, cartone animato che proprio per la sua forza fantastica sa farsi portavoce d’istanze violente, di frustrazioni e gabbie mentali che hanno bisogno della leggerezza per esser digerite e innestare una catarsi.
Fra i mostri che emergono anche la superficialità di giudizio, l’avventatezza, e l’ignoranza. Il farsi un’opinione flash in base a un sentito dire, rapidi a dire la nostra sulle piazze dei social, ma troppo di fretta, o pigri, per andare a capire qualcosa in più.
Lo spettacolo prende una posizione in merito, con il sapore dell’inno alla vita, con tatto e umanità, voglia di dialogo e apertura. Come quella toccante negli occhi dell’attore Giuseppe Capodicasa (Qui ironicamente capo ladro, in casa d’altri) quando passa dalla caricatura del grottesco al concreto di una sofferenza vissuta.
Anche se la scrittura del testo è maturata prima che l’argomento diventasse il fiume in piena di opinioni che è oggi, vale “la pena” ricordare che lo scorso 28 marzo il Senato ha approvato in via definitiva la riforma della legittima difesa nel domicilio. Una legge, dalla parte della vittima, che però, e qui sta il cuore del problema, è una vittima che nel singolare scenario della legittima difesa cambia d’abito. Diventa di fatto autore di un reato commesso nell’azione difensiva a danno di chi (ad esempio il ladro o il rapinatore), parallelamente, da aggressore iniziale diviene vittima (ad esempio di omicidio o lesioni).
È vero, nel vortice della comunicazione attuale non è facile stabilire come stiano davvero le cose, figurarsi cosa è giusto. Proprio per questo se non ci si prende il tempo di rallentare è difficile ascoltare la voce più intima che ci parla da sotto lo strato di paura.
Nello spettacolo, lo stile giocoso permette anche inserti e analisi interessanti, come quella scientifica degli effetti della paura sul cervello atavico e la riflessione su come essa possa essere insinuata a livello sistemico dalla propaganda populista.
Le parole sono importanti, soprattutto se ben scelte e ponderate, e diventano anch’esse armi potenti quando agite con l’efficacia e la presenza degli attori di Legittima Difesa, che riescono a far ridere e vibrare la sala fino al momento in cui la rivoltella si punta sul pubblico stesso, chiamato in causa come uno dei personaggi dello scontro dialettico. “Basta puttanate!” I soli spari emessi però (a parte quelli coreografati da un sensualissimo tango Natoli/Capodicasa) vanno verso il cielo. “Un modo per scaricare la tensione”? O uno sfogo verso l’universo che ci mette in questa condizione, quella umana, di dover costantemente decidere, anche sbagliando, di sentire tutta la pressione dell’esistenza e di trovarci troppo spesso, gli uni contro gli altri?
Sulle maglie i ladri hanno stampato un bersaglio dal centro rosso, il cerchio è anche simbolo di tutto ciò che è Celeste: il cielo, l’anima, l’illimitato, Dio. Il padrone di casa ha invece un triangolo inneggiante alle ruspe in azione. Che può anche essere assimilato simbolicamente alla natura umana del divino, quindi la fallibilità insita nell’esistere, come anche alla trinità.
A un’analisi più approfondita, può venire in mente come la legittima difesa non sia solo quella esplicitata nel testo. Potrebbe essere anche la necessità dell’artista di proteggere la propria fragilità da una realtà schiacciante e aggressiva, aggrappandosi alla vita e all’amore che può, e mediante la sua opera cercare e creare oltre il chiasso delle masse.
Forse accade più spesso che queste sfumature si colgano nelle intercapedini, come lo è appunto il Cortile Teatro Festival, piccolo e nascosto in un anfratto della città, seppure nel suo cuore. Bisogna scoprirlo e gustarlo, per assaporare nuovi spunti di verità (e non solo).
Il pubblico va via dibattendo sullo spettacolo appena vissuto, ma anche sul reale e le sue pieghe. Come sempre, c’è chi si esprime nettamente pro o contro sull’argomento. Ma l’importante credo sia che l’arte lasci un dubbio, un fecondo smarrimento, una voglia di saperne di più e magari confrontarsi. Non tanto per capire, quanto per comprendere, cioè includere sempre nuove porzioni di realtà. Per rimanere – come dicono i cantanti – con più voglia di sperare e meno di sparare.
Prossimo spettacolo 29 Luglio, Dux in Scatola di Frosini – Timpano.
Per informazioni e prenotazioni: https://www.facebook.com/castellodisancio/
1 thought on “Il Cortile Teatro Festival – Messina: Legittima Difesa di Giacobbe e Bonaventura”