Di Judith Maffeis Sala.
Giorgio de Chirico (Volos, 1888 – Roma 1978) ritorna nelle sale di Palazzo Reale a Milano, a distanza di quasi cinquant’anni dalla personale del 1970, con una straordinaria retrospettiva, dal 25 settembre al 19 gennaio. La tanto aspettata mostra è curata da Luca Massimo Barbero, promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, da Palazzo Reale, da Marsilio e da Electa, in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico.
Negli anni della consacrazione artistica internazionale, della fama e dei giusti trionfi, viene coniato per lui l’appellativo di Pictor Optimus. Parliamo di uno degli artisti più complessi e completi del ‘900; è un pittore che ha vissuto fino all’età di 90 anni continuando a lavorare nel suo studio di piazza di Spagna a Roma (oggi casa-museo e sede della Fondazione Giorgio e Isa De Chirico). Dall’età di 22 anni quando dipinge il suo primo quadro metafisico l’Enigma di un pomeriggio d’autunno (Firenze 1910), fino all’ultimo periodo conosciuto come la Neometafisica (1978-1976), ha realizzato opere evocatorie di storia e di cultura.
L’artista è considerato dal grande pubblico un enigmatico architetto, creatore di sospese visuali, e visioni, che ammantano i suoi paesaggi urbani. La sua costante evoluzione del manichino e la continua rielaborazione di Ettore e Andromaca (olio su tela 60×90 cm), realizzato nel 1917 – modellato in forma plastica quasi sessant’anni più tardi – e custodito alla Galleria d’Arte Moderna a Roma, rappresenta una scena dell’Iliade, reinterpretata in una visione del tutto metafisica e priva di riferimenti realistici. Nell’opera il pittore dipinge due manichini privi di volto e di braccia, a testimoniare l’abbraccio con la moglie, prima che l’eroe troiano affronti il greco Achille in battaglia. Nel quadro emerge un sentimento di amore e di rassegnazione, condiviso dall’osservatore. Quest’opera, realizzata in più versioni nel corso della carriera dell’artista, è quella di maggior successo: da record quella dipinta tra il 1925 e il 1930, battuta a Londra da Sotheby’s nel febbraio 2012 per la cifra di 3milioni e 400mila euro.
Metafisica o quello che è al di là delle cose fisiche è un termine filosofico, preso in particolare dalla filosofia di Schopenhauer e Nietzsche, che De Chirico scelse per descrivere la sua pittura, una nuova forma d’arte basata sull’enigma del mondo visibile. L’artista, attraverso un particolare uso di colore, luce e geometria, sviluppa concetti come spazio/tempo, presenza/assenza, prossimità/infinito, in una rappresentazione classica ma, allo stesso tempo, innovativa.
Palazzo Reale di Milano, la mostra
Un centinaio circa di capolavori esposti nella mostra a Palazzo Reale offrono la chiave d’accesso di una pittura ermetica.
Il percorso espositivo della mostra a Palazzo Reale si snoda in otto sale, consecutivamente progressive nell’arco della vita dell’artista ed attestanti l’evoluzione del suo stile.
Lo stile dell’artista affonda le sue radici nella Grecia dell’infanzia, poi approfondita nella Parigi delle avanguardie, e che dà vita alla Metafisica che strega i surrealisti e conquisterà Andy Warhol e, infine, getta scompiglio con le sue irriverenti quanto ironiche rivisitazioni del Barocco.
Tornato in Italia da Parigi a seguito del conflitto mondiale, nel 1915, de Chirico si stabilirà a Ferrara con il fratello Alberto Savinio e continuerà negli anni della guerra a sviluppare i temi della metafisica, attirando a sé pittori e intellettuali: Carlo Carrà, che si convertirà con convinzione alla sua poetica, abbandonando gli esordi futuristi; Filippo De Pisis a Ferrara durante il suo periodo di leva. La città di Ferrara, per la sua particolare conformazione urbanistica e architettonica formatasi nel Rinascimento, rispecchiava molto fedelmente quello spirito di geometria ordinata presente in molte opere di de Chirico, soprattutto, le Piazze d’Italia.
De Chirico matura in questa fase una definitiva evoluzione nel suo stile, entrando nel clima generale di ritorno all’ordine, la corrente artistica europea, successiva alla prima guerra mondiale, un movimento pittorico che ripropose la centralità della tradizione e della storia, del classicismo e della fedeltà figurativa del racconto e della celebrazione aulica, rifiutando gli estremismi dell’avanguardia, dominante sino al 1918.
L’arco temporale che va dagli inizi del 1919 sino al 1926-27 rivela la varietà e la complessità della pittura di Giorgio De Chirico, in un periodo cruciale della sua produzione, quello che va dall’ultimissima fase metafisica all’elaborazione della nuova mitologia inaugurata a Parigi, a partire dal 1925 . Una pittura che non sarà compresa né dal Gruppo Surrealista che arriverà a polemizzare aspramente col pittore, né dalla critica letteraria, non considerando invece come De Chirico rimanga profondamente sempre fedele a se stesso e alla sua ispirazione originaria.
Il cospicuo corpus di opere in mostra proviene da importanti musei internazionali tra i quali la Tate Modern di Londra, il Metropolitan Museum di New York, il Centre Pompidou e il Musée d’Art Moderne de la Ville di Parigi, la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (GNAM) di Roma, la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, The Menil Collection di Huston e il MAC USP di Boschi di Stefano, la Pinacoteca di Brera e Villa Necchi Campiglio.
De Chirico affermò: “A volte pensando ai maestri antichi, dei secoli passati, li immagino come riuniti in una specie di magnifico simposio, vedo maestri del Rinascimento, vedo Raffaello, e Perugino e poi il vecchio Tiziano, quasi centenario, guardare Giovanni Bellini e vedo grandi maestri fiamminghi, con in mezzo il divino Rubens, maestro tra i maestri e poi gli spagnoli, il potente e tranquillo Velàzquez e Ribera e il Greco e più in là Goya. Poi i neoclassici del primo Ottocento, vedo David, il discepolo di Fragonard e Ingres….e poi i Romantici Delacroix, Gericault e Courbet”.
Per informazioni: https://www.palazzorealemilano.it/mostre/de-chirico