Di Caterina Mortillaro
È in scena dal 2 al 6 ottobre a Milano, al Piccolo Teatro Grassi, “La parola giusta”, un monologo che ha per oggetto due momenti neri (in tutti i sensi) della nostra storia: la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e quella di piazza della Loggia (28 maggio 1974). Lo spettacolo, recitato con grande maestria da Lella Costa, sarà replicato anche dal 3 all’8 dicembre a Brescia, al Teatro Sociale.
L’autore, Marco Archetti, scrittore sensibile ai temi sociali e politici, nel 2014, per il quarantennale della strage di piazza della Loggia, aveva già dedicato otto articoli sul Corriere della Sera alle biografie delle vittime della bomba. Riadattati, quei testi erano poi stati letti al Teatro Stabile di Brescia. Nel 2018 è uscito, inoltre, il suo libro “Una specie di vento”, che racconta la vita delle otto vittime di piazza della Loggia in forma narrativa.
Il monologo, in scena al Piccolo Teatro Grassi, affronta nuovamente l’argomento accostando due stragi: quella di piazza Fontana e quella di piazza Della Loggia, entrambe di matrice fascista, verificatesi a soli cinque anni di distanza.
La parola giusta per dire le stragi di piazza Fontana e piazza della Loggia
Il titolo del monologo teatrale, spiega Archetti, ha origine nella riflessione sulla “parola giusta cui mi sarei aggrappato se fossi stato in loro”, ossia nei panni delle vittime. “Perché lo sappiamo” continua, “le parole non sono solo parole. Sono tutto. Perché solo una parola giusta che nomina le cose ci sa restituire un significato e ci permette di tornare a essere uomini, donne, cittadini.”
Antropologicamente parlando, quindi, ci troviamo di fronte a un’operazione che ha a che fare con il potere performativo della parola stessa e il suo intrecciarsi con la memoria. Una memoria, però, che non è immaginazione, ma testimonianza, oggettività, verità. Cercare pazientemente la parola giusta, in questo senso, è “una pratica di realtà” osserva Gabriele Vacis, il regista. Perché essa è il più grande baluardo contro la mistificazione, più efficace persino delle statistiche e dei numeri, che pure sono oggettivi e veri.
Continuare a raccontarla, continuare a dire alle nuove generazioni che quelle di piazza Fontana e piazza della Loggia furono stragi di matrice eversiva fascista diventa quindi un dovere civile. In quest’epoca, infatti, percezione e verità sono spesso confuse, fa notare Vacis, e le porte sono aperte a ogni sorta di mistificazione.
Una donna comune alla ricerca di un senso
La storia proposta da Archetti, tuttavia, non è vera. Si tratta di una finzione letteraria che ha per protagonista una donna comune, con una vita comune e un amore comune, che, ad un tratto, viene investita dalla violenza della bomba. Questa donna, cinquant’anni dopo, ricorda i suoi diciassette anni, i suoi sogni, il suo impegno civile, e soprattutto il suo amore per Antonio, diciannovenne, appena assunto alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, fulcro della strage.
Nella narrazione, s’intrecciano memorie: lo sbarco del primo uomo sulla Luna, la musica dei Led Zeppelin, le lotte operaie, la quotidianità in una Milano non poi così lontana. La diciassettenne di allora vive il suo primo amore con l’entusiasmo tipico dei giovani. Già immagina un futuro con Antonio, quando la bomba manda la sua vita e le sue certezze in mille pezzi. Con costanza, per due anni, siede al capezzale di Antonio in coma e gli racconta ogni cosa, sempre in cerca della parola giusta per parlare del dolore, dell’indignazione, della rabbia, del bisogno di giustizia e verità. Antonio si sveglia, ma le loro vite prendono strade diverse. Eppure, resta un filo che li collega, un filo rosso sangue che affonda le radici nell’esperienza condivisa della strage.
Entrambi cercano un senso, una conclusione, una parola giusta che segni la fine di un percorso lungo e accidentato, fatto di bugie, connivenze, mistificazioni. Pur nelle loro vite comuni, resta la convinzione che “tutti senza di me sono nessuno”, ovvero che l’impegno civile è un dovere cui nessuno può sottrarsi.
Una narrazione che parla alla mente e al cuore
Il talento artistico indiscusso di Lella Costa ci guida in questa narrazione, a tratti funambolica, in cui si alternano momenti comici e commozione, ironia e serietà. Non bisogna credere, però, che tale comicità sia una mancanza di rispetto, bensì una sorta di umanissimo scudo contro il dolore. O forse uno specchio del reale, dove le peggiori tragedie a volte sembrano stemperarsi, nostro malgrado, nella commedia del quotidiano, per poi riaffiorare più dolorose di prima.
Lella Costa domina il palcoscenico spoglio grazie al potere della sua voce. L’allestimento, volutamente scarno, permette alle parole di emergere, accompagnate dalla forza evocativa della musica.
Lo spettatore non può che partecipare emotivamente e intellettualmente, immedesimandosi in questa donna simbolica che racchiude in sé una grande verità. Non si tratta quindi di uno spettacolo che parla solo al cuore o alla mente, ma li coinvolge entrambi.
Al Piccolo Teatro Grazìssi: https://www.piccoloteatro.org/it/theaters/piccolo-teatro-grassi