Di Lelio Naccari
Sangue, Merda e Teatro contro Integrazione e Tolleranza? Gli ultimi due termini di questa dialettica sono solo belle parole con cui impomatarsi la coscienza, titolando progetti ministeriali, o possono amalgamarsi ai primi in una reale scesa in campo e conoscenza diretta fatta anche di difficoltà?
Ha fame di chiederselo Angelo Campolo nella sua vorace indagine STAY HUNGRY, opera di storytelling puro presentata al Cortile Teatro Festival, che ha in sé un duplice fascino: Una fabula che funziona e lo slancio moderno di proiezioni video e immagini con effetto reportage; vincitrice del bando SILLUMINA di Siae e Ministero dei Beni Culturali, del premio In-Box, e della rassegna Nolo Fringe Festival.
Vestito in maglietta, tuta e scarpe da ginnastica come nei laboratori che tiene da anni, l’attore e regista attinge alla propria esperienza personale per aggiungere verità e pathos alla sua narrazione, oltre che per traslare la propria missione in parole vissute, raccontarci il contorno e il contesto del proprio percorso col fuori di sé, facendolo parlare con competenza di cantastorie moderno. Nel pubblico c’è riso e disagio, la voglia di sapere come andrà a finire e la paura di scoprirlo.
Il bandolo della matassa
Nella prima fase dello spettacolo Campolo pone un interrogativo interessante: “Perché ci ostiniamo a credere che il teatro sia una cosa buona, in grado di aiutare gli altri?”. C’è stato un momento, di cui forse non ci siamo accorti, in cui il teatro – che prima era pericolo per attore e pubblico, provocazione, disagio – è diventato un calmante sociale, utile a coadiuvare l’espressività, rendere i manager concilianti, far giocare gli anziani, crescere i bambini, ma soprattutto affrontare temi come l’integrazione, che poi diventano veri tormentoni di una serie di bandi attraverso cui inerpicarsi, per ottenere finanziamenti.
Se il precedente lavoro presentato al Cortile Teatro Festival, (CENERE di A. Sterrantino) ci sorprendeva per la cancellazione dell’io attorale e la capacità di condurci in un luogo poetico fatto di Altrove, principalmente evocativo, STAY HUNGRY si avvinghia fortemente al quotidiano, alla cronaca e al vissuto dell’attore. Ma solo per dipingere un universale fatto di particolari, dando voce agli incontri e scambi con gli amici, collaboratori, suore, ragazzi migranti che Angelo ha vissuto sulla propria pelle dal 2015 ad ora.
Due sfide completamente diverse chiaramente, ma che proprio per questo se accostate mettono in evidenza l’estrema varietà e possibilità del vocabolario teatrale, ovvia per gli addetti ai lavori, ma che se resa gustosa e digeribile per un pubblico per così dire normale, significa molto di più: un processo e progresso che può essere accostato alla ricerca antropologica e sociale. Una politica della poesia e del vivere.
5 nello strazio
Quella di Angelo Campolo è un’indagine formale e viva al contempo, che si muove fra gli ingranaggi di burocrazia, scartoffie, formule tecniche e aridi cliché, attraverso la fluida porosità dell’umano, che rimanendovi incastrato come un verme, si lacera e fa fuoriuscire l’anima a pezzetti. Come in quel momento in cui il protagonista per la prima volta non vede più Ibrahim in funzione di uno scopo, per un progetto, e neanche come migrante, ma semplice esistenza a sé stante, sorprendentemente indescrivibile. Una prospettiva ravvicinata che ci accosta allo straniero tramite l’umanità che ci accomuna, e ci porta nelle sue scarpe, da cui non ci si può astrarre o semplicemente dibatterne, come quando si legge un articolo di cronaca.
“Day after day, day after day
Giorno dopo giorno, giorni e giorni
We stuck nor breath nor motion
Rimanemmo senza soffio, senza movimento
As idle as a painted ship upon a painted ocean
Immobili come una nave su un oceano dipinto
Water, water everywhere and all the boards did shrink
Acqua, acqua dappertutto e le fiancate che si contraevano
Water, water everywhere nor any drop to drink.
Acqua, acqua dappertutto, neanche una gioccia da bere.”
The Rime of the Ancient Mariner – Samuel T. Coleridge (1722 – 1834)
Traduci tu?
Teatro, letteratura, cinema e arte, sono un dizionario che include tutti i vocaboli, registri e toni possibili. Tutte le lingue immaginabili. Quelle che Campolo coglie agilmente vanno dalla Calabria al Mali, da Milano al Burkina Faso alla sua Messina. Ogni artista sceglie come e cosa gli serve per lo scopo che si prefigge, a seconda delle necessità o semplicemente per gusto. Teatro può essere un fine di per sé oppure uno strumento. “Si può essere clienti o commercianti, affamati o ristoratori.” Dice Angelo.
Simbolico che questo spettacolo che parla di fame come condizione archetipica e viscerale dell’uomo si svolga in una rassegna ibrida come il Cortile Teatro Festival, che tatticamente ha adottato la strategia cena/spettacolo, sia per il piacere legatovi ma anche per “vincere il bando” della sopravvivenza del teatro, per trovare modalità vive e vere, metropolitane, di scambio; escamotage per esserci in una società che ha comunque sempre fame.
Travestimento, maschera, ibridazione, sono qualità intrinseche dell’alchimista teatrale, che sa cambiare forma e direzione per continuare a nutrirsi, e con un bastone da rabdomante trova falde acquifere, individuando necessità e vie possibili in un panorama cangiante. Qualità, queste, che possono passare in secondo piano dietro la bellezza degli spettacoli e la bontà delle portate in una rassegna che comunica anche implicitamente, creando consapevolezza e cambiamento. A Giamboi e Bonaventura il merito di averla concepita, due professionisti – ma innanzi tutto esseri umani – di cui curiosità, voglia di esserci e cuore sono leggibili al primo sguardo.
Il Cortile Teatro Festival: non solo intrattenimento
Il Cortile Teatro Festival, rannicchiando – con le dovute distanze – i suoi ospiti in pochi metri di spazio all’aperto, accanto a un ristorante, offre un panorama culturale realmente eterogeneo; non solo intrattenimento, ma vero e proprio sapere, conoscenza, e quindi potere; quello di capire e interpretare la realtà, per poter conseguentemente decidere e agire a partire da un senso critico.
Chi si nutre e chi si offre in pasto siedono alla stessa tavola in un divenire prolifico. Attori accanto a pubblico, pubblico accanto a registi, danzatori e… acrobati. Si cresce e si diventa più grandi, e forse perdendosi nel caos d’identità possibili, sapori e vocazioni, si ritrova un po’ di sé, più in alto.
Tutto questo non sarebbe possibile senza il supporto professionale e cardiaco di:
Riccardo Bonaventura
Monia Alfieri
Marilisa Busà
Martina Morabito
Vincenzo Bonaventura
Antonella Maiorana
Antonella Arrigo
Mariangela Nanì
Morgan Maugeri
Giovanni Brancati
Giuseppe Contarini
Wiliam Caruso e Andrea Ansaldo dell’osservatorio critico di QuasiAnonima Produzioni, e Il materiale tecnico di Renzo di Chio e di Arb di Davide Liotta.
Il Cortile Teatro Festival prosegue con un altro spettacolo e un’altra performance site-specific:
04/08 – DUE PASSI SONO della Compagnia Carullo-Minasi
10/08 – DEFRAGMENTO con Gaia Gemelli di DanzArte
11/08 – CENERE (replica)