Di Lelio Naccari
Abbiamo tutti il nostro inferno personale. Un posto in cui brucia anche solo pensare di andare. Per la protagonista de L’inferno e la fanciulla spettacolo presentato l’1 e 3 Luglio all’interno della rassegna messinese Il Cortile teatro festival diretta Roberto Zorn Bonaventura, inizia tutto con l’andare a scuola. Si tratta, per lei e simbolicamente per noi, di mettere per la prima volta un piede fuori, in quel mondo in cui tutti, molti, fanno e cercano le stesse cose ma che sembrano promesse per la felicità. A questa parolina magica la bimba s’illumina, e si lascia ammaliare, abbandonandosi a un cammino che anziché verso le stelle la conduce a conoscere i propri inferi. Paura, odio, rancore, il lato oscuro dell’amore.
Così in alto, come in basso
In scena Serena Balivo, premiata con l’Ubu come migliore attrice under 35, coautrice del testo insieme a Mariano Dammacco. Un linguaggio, a volte adulto a volte comicamente acerbo, svela attraverso questa leggera contraddizione e una struttura “a quadri” intelligente, i paradossi e le strettoie del vivere.
Su un alto palchetto in legno di 1 metro per 1,50 come dal piedistallo di un carillon, la piccola bambola, anima, o il ricordo di essa, percorre la propria discesa agli inferi lasciandosi sfuggire, quasi indemoniata, la voce dell’amara realtà, la perdita delle illusioni e quell’esserci adulto con cui convive ancora, in certi momenti, come eco lontana.
Un viaggio dell’anima nelle profondità della materia e dell’ombra, di quegli “stati gravitazionali” più bassi, cui gli autori, si sottopongono sperimentalmente per esorcizzare così tutta questa sofferenza in nome del pubblico, dello specchio. Quell’altro in cui, nonostante tutto, dal fondo della propria solitudine, ci si rivede e si spera. Cui si dedica un respiro o un sospiro. Nonostante nella vita di ogni giorno non si sia propensi a lasciar trasparire tutto il proprio inferno. O anche solo a vederlo fino in fondo.
L’inferno del nostro scontento
Abbiamo un inferno personale e quotidiano fatto di paure, ferite, delusioni, idiosincrasie solo nostre. Comunicabili solo in parte. Talmente vivide, sferzanti e concrete da sembrare quasi immaginazioni. Ma per ogni inferno, reale o meno, c’è una controparte, un paradiso fantasticato o impresso a fuoco da una mente, da una civiltà o anche solo da un educazione. Una scala ideale di diritti e di doveri. Il mondo “come vorremmo che fosse” per ognuno di noi. È questa la legge marmorea che uccide la felicità ad ogni singolo istante di confronto con le leggi, apparentemente più imperfette, del mondo reale, quotidiano.
Inferno allora forse è quello che non si è ancora capaci di far proprio. Una sfida alla coscienza. Ciò che si tiene fuori, ma a cui si è dato un nome, il nome di un demonio. A volte può essere lo spettro di qualcosa che ti è sfuggito per sempre. Nel peggiore dei casi, la paura di ciò che non saprai mai essere.
Allora il bisogno di sopravvivere ci rinchiude nei consueti riti sociali e nella gentilezza di poche persone. “Come va?” e “Tutto bene, grazie, sto facendo questo e quello…” in un quieto vivere roboante d’ira. Si sorride – dicono gli autori – mentre dentro si cavalca il proprio diavolo con classe e calma impareggiabili, da un silenzio bardato di urla.
Parametri
Interessante e visivamente suggestiva l’idea di mettere al centro di tutto una bambina. Macchietta tragicomica in un viaggio Dantesco. Fa abbassare le difese allo spettatore quel tanto che basta per graffiargli via persino il velo di qualche ipocrisia: “La felicità arriverà poi, intanto si aspetta, si sopravvive”. Un lavoro, questo, quasi di “Commedia dell’arte al microscopio”, che mentre intrattiene dà peso al sentire e al pensiero. Il comico serve i meccanismi classici ma sa farsi anche sottile, in una commedia dell’altro. La fanciulla è l’inferno, o forse “l’unica parte libera della commedia”.
Lo spettacolo (allarme spoiler) ci lascia con questa, come nota positiva: sapere che nel nostro inferno siamo soli, ma che non siamo i soli ad avere un inferno. Sarebbe bello sapere se ci sia un modo per sfuggire a se stessi perché, forse, senza l’idea stessa di felicità non vi sarebbe neanche quella di inferno, e allora magari si potrebbero ascoltare le proprie urla dal silenzio, o dare nuovi nomi alle cose.
Considerazioni a margine
(Per quanto mi concerne) la vera genialità dello spettacolo sta nella scrittura – certamente ben gestita dall’attrice – che sa alternare registri stilistici diversi creando un equilibrio di pesi e misure, che non a caso si chiude in circolo, in modo intelligente, trasparendo d’ironia, gioco e violenza sotto un velo di zucchero.
Una parola che sa trovare il punto d’incontro fra manifestare una necessità umana e la gestione dell’attenzione del pubblico. Questo è ciò che chiamiamo arte e comunicazione. O forse mestiere.
L’inferno e la fanciulla,
con Serena Balivo
ideazione e drammaturgia Mariano Dammacco, Serena Balivo
regia Mariano Dammacco
immagine di locandina Stella Monesi
produzione Piccola Compagnia Dammacco
con il sostegno di Campsirago Residenza
primo studio vincitore del Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro
spettacolo Selezione in Box Blu 2016
Per il programma completo del Cortile Teatro Festival: http://www.cortileteatrofestival.it/