Di Giuseppe Bellina
Il 1 Novembre 2019, alle 19, presso il MIC, Museo Interattivo del Cinema di Milano, in occasione del Festival Piccolo Grande Cinema – XII Festival Internazionale delle Nuove Generazioni, è stato proiettato in anteprima il film Alla mia piccola Sama (titolo originale: For Sama) .
Il festival, che si svolge in più sedi (al MIC, all’auditorium Testori di Palazzo Lombardia, all’auditorium San Fedele e alla sala Metropolis 2.0 di Paderno Dugnano), ha avuto inizio il 31 ottobre e si protrarrà fino al 10 novembre.
Alla mia piccola Sama è stato presentato fuori concorso a Cannes. Inoltre è stato premiato al South by Southwest di Austin (Texas) come miglior documentario e ha ottenuto la premiazione speciale della giuria alla manifestazione HotDocs di Toronto.
Distribuito dalla Wanted, prodotto in Gran Bretagna nel 2019, il lungometraggio, della durata di circa 90 minuti, è stato proposto in lingua originale con sottotitoli in italiano.
Il racconto autobiografico della regista sullo sfondo della guerra civile
Alla mia piccola Sama documenta la guerra civile in Siria fra i sostenitori di Assad e coloro che si sono schierati contro il dittatore amico dei russi. Copre un periodo di circa cinque anni, tra il 2011 e il 2016.
La regista, Waad Al-Khateab, ai tempi delle riprese era una giovane studentessa universitaria siriana. All’inizio della rivoluzione, che si inscrive nella cosiddetta Primavera araba, nel 2010, aveva solamente 18 anni e studiava nell’ateneo di Aleppo.
Le immagini del lungometraggio descrivono in parte la vita privata della protagonista, cioè la regista stessa, in parte la difesa e la resistenza della popolazione civile contraria al regime di Assad.
Le riprese, crude, con primi piani terrificanti, denunciano la repressione messa in atto dal regime. Uccisioni, sparizioni, torture, mutilazioni, fosse comuni, pratiche queste comuni a tutte le dittature.
Queste tristi vicende si intersecano con la storia d’amore tra Waad e suo marito, medico chirurgo operante in una struttura ospedaliera di Aleppo. I due, conosciutisi dopo l’inizio dei moti di protesta contro il regime, decidono insieme di restare nei luoghi di origine, come scelta di vita e come presa di posizione politica.
Aleppo, una città fantasma distrutta dalla guerra
Il documentario è stato girato quasi per intero ad Aleppo, nei quartieri popolari e negli ospedali. La metropoli, un tempo la più popolosa della Siria, appare una città fantasma, senza più vita. Semidistrutta dai bombardamenti, con le forze governative che la assediano, coi palazzi sgretolati, priva di energia elettrica e con le strade interrotte, sembra un paesaggio lunare simile a quello delle città colpite dai bombardamenti nella Seconda Guerra Mondiale.
Quella che era cominciata come una rivoluzione contro il regime, infatti, si è trasformata in una guerra civile, nella quale i moti sono sedati dall’esercito con l’aiuto dell’aeronautica russa, cui Assad concede praticamente tutto. Vengono bombardati e presi di mira dalla missilistica i quartieri più popolari di Aleppo. Vengono distrutti e messi fuori uso sette degli otto ospedali civili presenti sul territorio della città. Il marito di Waad non può continuare il suo lavoro di chirurgo, deve interrompere l’accettazione dei feriti gravi e i relativi interventi.
La piccola Sama, simbolo di speranza
Nel frattempo nasce Sama, che simboleggia la speranza di vita nel caos generale, tra i morti e le insicurezze per il futuro.
Il finale del documentario (siamo nel 2016) mostra ancora una volta la distruzione totale della città di Aleppo. I protagonisti (la coppia e la piccola Sama) si aggregano ai profughi che tentano di uscire dall’accerchiamento della città assediata e agonizzante.
La famiglia ha trovato infine la salvezza e oggi vive esule a Londra. Qui la regista Waad Al-Khateab, coadiuvata da E.Watts, ha raccolto il materiale girato durante la guerra e lo ha dedicato a Sama, sua figlia, perché possa un giorno conoscere attraverso le immagini la storia vera del suo paese.
La situazione oggi in Siria
Ancora oggi milioni di profughi siriani stazionano nelle tendopoli al di là del confine, in territorio turco. L’U.E. sostiene economicamente il governo turco perché impedisca l’emigrazione dei profughi verso l’Europa. In cambio, Erdogan ha ottenuto la completa libertà di agire indisturbato contro le popolazioni curde, che pure sono state di cruciale importanza nella lotta all’ISIS.
I profughi siriani fuggiti in Turchia in quanto oppositori al regime del dittatore Assad non hanno alcuna possibilità di rientrare in patria. Difficile prevedere il futuro o ipotizzare una soluzione a breve scadenza. Oggi, se i siriani tornassero nel loro paese, con Assad ancora al potere, finirebbero uccisi o parcheggiati in campi profughi senza alcuna assistenza né alimentare, né sanitaria.
Per informazioni: https://www.cinetecamilano.it/festival/piccolograndecinema