Di Lelio Naccari
Un cane. Ecco cosa ci guida all’interno del filo narrativo tessuto dal giovane drammaturgo Simone Corso nel suo fotodramma “Nor”, sulle immagini del reportage realizzato a Ferentari da Paolo Galletta e finalista al Leica Photographers Award e grazie alle musiche di Giovanni Puliafito (suono di Patrick Fisichella).
Attraverso un mèlange di sentimenti forti la storia si dipana attraverso la ricerca di due fratelli del loro familiare a quattro zampe nella periferia di Bucarest, e crea così il pretesto per dipingere un poetico ma al contempo lancinante affresco dei cambiamenti che hanno plasmato l’Europa dell’Est nel secondo Novecento.
Nor: uno sguardo sugli effetti della dittatura in Romania
L’opera, prodotta da Nutrimenti Digitali, nasce in periodo di lockdown come secondo capitolo di un format digitale cross-mediale, dal desiderio di avvicinare il pubblico alla dimensione teatrale seppure a distanza, e si presenta per la prima volta al Cortile Teatro Festival in versione live performativa. Si apre con alcuni spezzoni di video che descrivono i terribili effetti della crudele dittatura in Romania e – nella replica da me seguita – con il commento live di un quotato e veterano critico presente in loco “Questo è quel pezzo di merda di Ceausescu”, che trova così l’intuizione, forse ancora sfuggita al regista, di rendere la performance interattiva.
Sembra un dettaglio ironico e di poco conto ma se Corso, che già esegue la sua narrazione in maniera puntale e coerente, nel rodare le successive repliche si aprirà ancor più all’intenzione di indirizzare il proprio racconto al pubblico presente, lasciandosi modulare dalle temperature del momento – per quanto evidentemente condizionato dal dover fare collaborare immagini, parola e musiche – potrà ulteriormente arricchire di pathos e sfumature la già suggestiva storia che, da buon drammaturgo e amante della parola, è stato capace di creare.
La resistenza della speranza nelle macerie del degrado
Come in una pozzanghera che riflette immondizia e nuvole la performance funge da specchio catastrofico alle nefandezze e ai prodigi dell’umano, lasciando intravedere la resistenza del fuoco della speranza fra le macerie del degrado che pure feriscono lo sguardo, e fra le quali, dopo un po’, le vittime diventano carnefici di altre vittime e di se stesse, nella ricerca di quel senso di torpore medicinale che possa allontanarci il muso dalla nostra stessa cacca.
Lo scenario post-apocalittico apre la mente a suggestioni più che contemporanee prefigurando catastrofi attuali, a volte più velate nei sintomi ma non meno traditrici e sanguinolente. Ricordare la storia per essere sferzati e prendere consapevolezza. L’opera vuole dichiaratamente intrattenere ed è lì il potenziale pedagogico insito nel saper scrivere storie oggi. Anche per questo forse l’autore decide di chiudere in levare.
Poeticamente funzionale l’idea del contrasto fra l’estremo degrado, che conduce alla irrimediabile corruzione dell’animo e spinge le persone all’animalità, e la pura innocenza del cane/nuvola che chiude salvificamente l’opera, con in mezzo la figura combattuta e combattente di un uomo in cerca di espiazione che sta trovando la propria missione e la porta avanti come un grido ostinato in un mondo di sordi.